LA CORTE DEI CONTI Ha pronuciato la seguente ordinanza nel giudizio sui conti resi dal tesoriere del comune di Terlizzi per gli esercizi 1986/1992; Vista la relazione depositata in data 22 dicembre 1994, con la quale il magistrato relatore sui conti della Provincia di Bari ha chiesto che fosse demandata al giudizio della sezione la cognizione sui conti predetti, iscritta al n. 320/G.C. EL del registro di segreteria; Visti gli altri atti e documenti di causa; Uditi nella pubblica udienza del 3 maggio 1995 il relatore cons. Vito Minerva ed il Pubblico Ministero nella persona del vice procuratore generale dott. Francesco Paolo Romanelli. Ritenuto in fatto Il magistrato relatore sui conti della provincia di Bari ha ritenuto di portare, con un'unica relazione, alla cognizione ed alle valutazioni del Collegio - anche perche' incidenti sulla stessa ampiezza della istruttoria che si dovrebbe esperire - la esistenza di taluni aspetti gestionali afferenti i conti in epigrafe, in parte relativi alla gestione del tesoriere (quali il pagamento di spese oltre i fondi stanziati in bilancio sia in conto residui che sulla competenza per gli esercizi 1986, 87, 88, 89, 92 punto 10 del verbale) ed altri invece attienti alla gestione amministrativo-finanziaria dell'ente. In particolare, fa rilevare il magistrato relatore, sotto quest'ultimo aspetto, che dalla verifica effettuata risultano costantemente contabilizzati in tutti gli esercizi "debiti fuori bilancio" ed "interessi passivi" negli esercizi dal 1986 al 1990, che appaiono di notevole entita' rispetto ai fondi amministrativi dal comune, oltre alla iscrizione in bilancio di residui attivi di notevole importo. Risulta, inoltre, negli esercizi 1990 e 1992 la esistenza rispettivamente di spese legali derivanti da pignoramenti sulla tesoreria per oltre 32 milioni e pagamenti per passivita' pregresse a seguito di atti di pignoramento per oltre 233 milioni; pagamenti nel 1992 di residui perenti per oltre 231 milioni. Nonostante cio' - fa rivelare il magistrato relatore - il risultato finale della gestione dell'ente e' sempre stato costantemente positivo, chiudendo con un avanzo di amministrazione. La esistenza di tali partite induce il relatore a dubitare della esattezza dei dati esposti in bilancio (contrassegnato peraltro da numerose anomalie; correzione dei dati di consuntivo, mancata coincidenza nelle riprese dei residui attivi e passivi etc.), potendo il costante emergere di debiti fuori bilancio, il pagamento di interessi passivi, gli atti di pignoramento essere aspetti sintomatici di una gestione invece gravemente deficitaria. A corrobare questi dubbi concorre, peraltro, la relazione dei revisori sull'esercizio 1992, in cui si sottolinea che: a) il risultato positivo del 1992 dovra' "necessariamente essere rettificato alla luce delle passivita' pregresse"; b) per i trasferimenti regionali, e' necessario accertarne la reale consistenza, stante il dissesto finanziario dell'ente. Osserva ulteriormente l'organo di controllo interno che: il gettito dei proventi contravvenzionali, previsto in 145.000.000, "evidenzia un totale accertamento di L. 54.000.000 circa, di cui solo 1.069.563 risultano versate"; la eseguita' dei proventi dei beni di proprieta' comunale (cat. 2, titolo 3), e' tale per cui "si appalesa la necessita' di una inventariazione dei beni con il conseguente adeguamento dei relativi canoni"; per i servizi a domanda individuale, la contribuzione "appare inferiore alla norma e comunque non adeguata alle condizioni finanziarie dell'ente". Il predetto magistrato, affermata la necessita' di accertamenti sulla esistenza di responsabilita' di carattere contabile in ordine alla eventuale non acquisizione o tardivo versamento delle somme di cui ai proventi contravvenzionali (lett. c), rileva che il quadro descritto e le osservazioni dell'organo di controllo interno ingenerano il dubbio che l'avanzo esposto in bilancio non corrisponda alla reale situazione di bilancio e che addirittura il comune possa trovarsi in condizioni di dissesto. Si fa rilevare in proposito che lo stesso collegio dei revisori sembra muovere, a seguito dell'esame delle poste attive, un richiamo agli amministratori, quando osserva che "l'effettiva consistenza di tali poste (attive) costituisce elemento essenziale per una corretta gestione finanziaria dell'ente, giacche' la loro preventiva determinazione e' posta a base per l'assunzione di impegni finanziari e per il sostanziale pareggio di bilancio. Il venir meno di tale presupposto puo' determinare squilibri di gestione con conseguenti disavanzi di amministrazione, che, ove non opportunamente gestiti, potrebbero portare ad una dichiarazione di dissesto finanziario". E la situazione di stato di dissesto sembre emergere anche dagli interventi di alcuni consiglieri, resi in sede di esame ed approvazione della delibera di approvazione del conto 1992, conto che e' stato controllato senza rilievi dall'organo regionale di controllo. In ordine ai fatti segnalati, il predetto magistrato non ha ritenuto di potere espletare l'istruttoria volta ad accertare la reale situazione finanziaria dell'ente, anche al fine della individuazione di eventuali responsabilita' di gestione degli amministratori (autonome o connesse con quelle del tesoriere), per mancato o inadeguato accertamento ed acquisizione di entrate (vedasi punti a, c, d del verbale di verifica) o per l'omessa registrazione delle spese alla voce impegni (debiti fuori bilancio) o per il risultato effettivo della gestione, apparentemente in avanzo (pignoramenti in tesoreria, interessi passivi eccessivi), ritenendo sia cio' impedito dalla sopravvenuta legge n. 142ÿ/ÿ1990, che, nel ricondurre sotto un unico giudice le responsabilita' degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, sembra avere ristretto il presente giudizio alla gestione di cassa. Deve ritenersi, infatti, che, a seguito della disciplina introdotta dal combinato disposto dall'art. 58, secondo comma, e 64 della legge n. 142/1990, che ha abrogato le norme del t.u.l.c.p. n. 383/1934 e del relativo regolamento di esecuzione approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, (rispettivamente artt. 310 e segg.ti e 226 reg.) in materia di giudizi sui conti consuntivi degli enti locali, l'oggetto del giudizio di conto si e' ristretto alla gestione del tesoriere. A fronte del riemergere poderoso del debito sommerso degli enti locali - segnalato piu' volte dalla stessa sezione di controllo della Corte di conti sulle gestioni degli enti locali istituita con l'art. 13 della legge n. 51/1982 e nelle dichiarazioni rese alla stampa anche da autorita' di Governo (che hanno stimato in ben oltre i due milioni di miliardi di disavanzo, alla quale previsione potrebbe contribuire in maniera massiccia il disavanzo palese o occulto delle regioni - a quanto risulta, ad es., la regione Puglia avrebbe oltre 5.000 miliardi di debiti fuori bilancio, - e degli enti locali), il magistrato ha osservato di non potersi sottrarre al dovere di sollecitare una verifica di legittimita' costituzionale delle nuove norme, laddove si interpretino nel senso che sarebbero venute a limitare l'oggetto del giudizio e cio' proprio in una fase storica in cui e' sempre piu' avvertita la esigenza di assicurare, a giusto titolo, la piena autonomia (anche impositiva) degli enti locali, in un contesto, tuttavia, il risanamento della finanza pubblica, che richiede certamente come presupposto che siano osservati sia per l'entrata che per la spesa i principi dell'universalita' ed integrita' (art. 55, secondo comma, della legge n. 142/1990) nella stesura dei conti degli enti facenti parte della c.d. finanza pubblica allargata, individuati nell'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo n. 29/1993. Ritiene conclusivamente il magistrato relatore che le norme suddette, in quanto limitative del giudizio di conto alla sola gestione di cassa, appaiono confliggenti con gli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione. In data 2 marzo 1995 si e' costituito in giudizio il tesoriere, Banca Cattolica S.p.a., con l'avv.to Mario Boccardi, il quale - premesso che il tesoriere ha effettuato pagamenti su mandato e nei limiti dei fondi stanziati in bilancio sia in conto residui che sulla competenza - non si oppone ad una verifica di legittimita' costituzionale sulle limitazioni dell'oggetto del giudizio, determinato principalmente dall'art. 64 della legge 142/1990, nella parte in cui ha abrogato l'art. 226 del regolamento approvato con r.d. del 1911. Venuto il giudizio in discussione all'udienza del 2 marzo 1995, il pubblico Ministero ne chiedeva il rinvio in considerazione della imminente pubblicazione del regolamento avente ad oggetto il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali e dell'intendimento da parte della procura di acquisire gli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, risultando l'amministrazione del comune di Terlizzi sciolta per infiltrazioni mafiose. In data 21 aprile la procura depositava la nota n. 1945 del 14 marzo 1995 con la quale la presidente della predetta commissione parlamentare ha trasmesso copia della documentazione libera in possesso della stessa. Nell'odierna pubblica udienza, sia il pubblico ministero che la difesa del tesoriere manifestavano la loro adesione alla richiesta avanzata dal magistrato relatore di deferire la questione concernente l'ambito del giudizio di conto all'esame della Corte costituzionale. Il pubblico ministero, sottolineava, in particolare, la estrema incertezza venutasi a determinare nella materia, dopo la legge n. 142/1990, la quale, abrogando l'art. 226 del regolamento del 1911, ha ristretto la verifica giudiziale al solo conto di cassa; ha sottolineato come gli artt. 67 e seguenti del decreto legislativo 25 febbraio 1955, n. 77, hanno espressamente previsto - contrariamente a quanto affermato dalla Corte dei conti con costante giurisprudenza - l'invio, ai fini del giudizio necessario di conto, da parte delgi enti locali del solo conto del tesoriere; cio', oltre a determinare effetti preclusivi sulla attivita' istruttoria del magistrato competente a norma degli artt. 27 e seguenti del t.u. approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, fara' venir meno per la stessa procura la possibilita' di cognizione dei fatti di gestione. Considerato in diritto Preliminarmente, viene disposta la riunione dei giudizi di conto ex art. 274 c.p.c.. La sezione ritiente rilevante, in relazione all'ambito degli accertamenti da eseguire in ordine ai fatti di gestione evidenziati nella relazione del magistrato relatore ed alla conseguente pronuncia sul conto, oltre che non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' sollevata dallo stesso magistrato, condividendola nei seguenti termini. A seguito della entrata in vigore del combinato disposto degli artt. 58, secondo comma e 64, primo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142, che ha abrogato, tra l'altro, l'art. 310 del t.u.l.c.p. approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e l'art. 226 del regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, l'oggetto del giudizio di conto con riferimento agli enti locali, come gia' affermato da questa sezione con sentenza n. 48 del 30 marzo/19 marzo 1994, in conformita' all'indirizzo seguito dalle sezioni prima e seconda, che hanno ritenuto tale disciplina applicabile anche ai giudizi pendenti relativi agli esercizi antecedenti alla entrata in vigore della legge n. 142, si e' ristretto alla gestione del tesoriere, ossia a quella sola parte, gia' individuata nel citato art. 226, riguardante la definizione dei "rapporti di credito e di debito", fra il tesoriere ed l'ente locale. Con la citata sentenza, questa sezione, peraltro, ha affermato il perdurante obbligo per gli enti locali, anche ai fini del mero giudizio sulla gestione di cassa, di provvedere al deposito del conto consuntivo, del quale fa parte integrante il conto del tesoriere, conto che deve essere previamente sottoposto a verifica ed approvazione da parte del consiglio comunale o provinciale. Cio' perche', la gestione del tesoriere trova necessariamente il suo supporto, fondamento, legittimazione e limite nella impostazione del bilancio di previsione e nei relativi provvedimenti di assestamento, nel bilancio di cassa, e nei relativi dati esposti nel consuntivo. Costituendo la gestione di tesoreria la parte conclusiva della gestione dell'ente e trovando essa legittimazione e limite negli atti autorizzativi posti in essere dagli amministratori, oltre che negli stanziamenti di bilancio, non risulta possibile emettere una pronuncia di regolarita' sulla gestione di cassa, prescindendo dalla cognizione e dalla valutazione degli atti medesimi e dal raffronto accertamenti/riscossioni per le entrate ed impegni/pagamenti per le spese. Aggiungeva la sezione che, poiche' ben possono verificarsi ipotesi di responsabilita' solidali tra tesorerie e amministratori (ad. es. nel caso di pagamenti senza disponibilita' di fondi in bilancio), l'acquisizione dell'intero consuntivo era condizione necessaria per la pronuncia. La gestione dell'ente, invero, si compone di due momenti essenziali, ma intimamente connessi ed inscindibili: quello in cui sorge il diritto alla riscossione o l'obbligo al pagamento e quello meramente esecutivo che si traduce nella acquisizione della entrata stessa e nel pagamento della spesa deliberata; ma la gestione in se e' chiaramente unitaria: la gestione di cassa non e' che l'aspetto terminale di quella dell'ente; l'accertamento di eventuali responsabilita' (conseguenti ai fatti su esposti ed allo stesso dissesto finanziario che e' logico risultato di una gestione scriteriata in quanto tende a spendere oltre che le possibilita' di bilancio) non puo' essere frantumata in diversi giudizi, (sempre che poi possa aversi cognizione di tali fatti al di fuori del conto consuntivo) e cio' anche al fine di meglio puntualizzare le responsabilita' distinte o viceversa connesse del tesoriere e degli amministratori. Deve, dunque, riaffermarsi, la imprenscindibile necessita' della trasmissione, a cura, dell'ente, non del mero conto del tesoriere, ma del conto consuntivo, che e' l'unico strumento valido conoscitivo della gestione. La acquisizione di tale documento - deve sottolinearsi - e' divenuta ancor piu' determinante agli effetti conoscitivi della gestione a seguito della sottrazione al controllo preventivo di legittimita' degli organi regionali di controllo degli atti di gestione degli enti (adottati dalla Giunta) operata dall'art. 45 della 142/1990. Deve, peraltro, rappresentarsi che nelle more del giudizio e' intervenuto il decreto legislativo n. 77 del 25 febbraio 1995, che, nel dettare il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, ha previsto, all'art. 67, l'obbligo "per il legale rappresentante dell'ente" di depositare ai fini del giudizio presso la segreteria della sezione giurisdizionale il solo "conto del tesoriere", olre che dei suoi allegati e ogni altro atto o documento richiesto dalla Corte stessa. Cio' premesso, la sezione rileva che, sulla base della disciplina abrogata dall'art. 64 citato, il giudizio sui conti degli enti locali, oltre che avere ad oggetto la definizione dei rapporti di credito-debito tra l'ente ed il tesoriere, era finalizzato anche ad accertare la regolarita' della gestione finanziaria dell'ente e quindi la esattezza dei risultati di bilancio (in evidente parallelismo con la funzione accertativa esercitata dalla Corte dei conti riguardo al bilancio dello Stato in sede di giudizio di parificazione ex art. 40 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214). In questa sede poteva anche addivenirsi alla modifica di quelle partite del conto che si rivelavano giuridicamente o contabilmente inesatte, con la cancellazione, ad es., dal novero dei residui passivi o attivi di quelle partite che non trovavano alcun fondamento, anche quando cio' non era connesso alla posizione contabile del tesoriere (cfr. Sez. I, 13 luglio 1961, n. 36). In sede di tale giudizio, a norma dell'art. 226 citato, occorreva, infatti, esaminare "il merito giuridico e contabile di ciascuna partita del conto, i rapporti di credito e di debito tra il tesoriere ed il comune, e tutte le questioni che dai medesimi possono nascere". Inoltre, sempre ai sensi dell'art. 226 citato, l'esame ed il giudizio potevano estendersi (quindi cio' costituiva una mera eventualita') - previa contestazione specifica - agli amministratori responsabili ai sensi di legge per i danni derivanti da atti di gestione; tali responsabilita' possono risultare connesse con quelle del tesoriere, donde la affermazione del vincolo di solidarieta' nella condanna al risarcimento. L'art. 310 t.u. poneva, in particolare, l'obbligo della trasmissione del conto consuntivo al consiglio di prefettura (sostituito da questa Corte e seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 55/1966), ai fini della sottoposizione al giudizio di conto. Le norme predette (310 e 226) sono state abrogate espressamente dall'art. 64 della legge n. 142, di tal che deve ritenersi che il giudizio non ha piu' ad oggetto la gestione dell'ente, ma la verifica della regolarita' di quella parte di essa che e' espressa dai movimenti della cassa, che rappresenta l'aspetto esecutivo (e peraltro marginale) della medesima gestione, con preclusione di qualsiasi accertamento in sede di questo giudizio sulla veridicita' della gestione finanziaria dell'ente, quale rappresentata nel cont consuntivo (cfr. ss.rr. n. 721/1991). Cio' determina, tra l'altro, la impossibilita' in sede di giudizio di conto di verificare la effettiva consistenza dei residui, il corretto e puntuale accertamento delle entrate, il rispetto del principio della integrita' e della universalita' del bilancio e soprattutto la effettivita' del risultato di amministrazione. Per quanto, in particolare, riguarda le entrate, e' da sottolineare che solo il raffronto tra previsioni ed accertamenti, e la verifica del grado di attendibilita' di questi ultimi, e' idonea ad evidenziare, a consuntivo, l'eventuale esistenza di comportamenti compiacenti o elusivi della normativa che richiede l'applicazione dei tributi e la copertura dei servizi a domanda individuale secondo le aliquote previste nelle leggi finanziarie. L'esposizione, poi, di un presunto avanzo di amministrazione (raggiungibile anche attraverso la sovraestimazione delle previsioni di entrata) serve alla amministrazione a giustificare una imposizione fiscale modesta e di contro livelli elevati di spesa. Nella fattispecie, dunque, sembra inibito a questo giudice di compiere accertamenti istruttori (come ritenuto dal magistrato relatore) volti a verificare la corretta gestione del bilancio del comune di Terlizzi, sia sotto il profilo del mancato accertamento delle entrate che della effettiva consistenza dei residui attivi sia sotto il profilo della integrale annotazione degli impegni di spesa; e', in conseguenza impedito di accertare se l'avanzo di amministrazione esposto nel conto sia effettivo oppure, come paventa il magistrato relatore sulla base di alcuni dati sintomatici evidenziati dall'esame del suo collaboratore, funzionario di revisione, e dei rilievi effettuati dal collegio dei revisori dell'ente, (che non hanno avuto alcun seguito da parte dell'organo di controllo) se trattasi di amministrazione di disavanzo, condizione che potrebbe essere estesa a tutti o buona parte gli esercizi in giudizio. In conseguenza, viene anche ad essere impedito l'accertamento di eventuali responsabilita' degli amministratori. E cio' e' tanto piu' grave nella fattispecie in quanto, oltre che alla irregolarita' addotte dal magistrato relatore ed a quelle evidenziate dal collegio dei revisori dell'ente, dagli atti liberi versati nel giudizio, in data 21 aprile 1995, dal presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della mafia, risulta che il consiglio comunale di Terlizzi e' stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica in data 30 marzo 1993 per forme di infiltrazione e condizionamenti della criminalita' organizzata, che hanno compromesso "il buon andamento della amministrazione" ed il "regolare funzionamento dei servizi", sulla base di una relazione del Ministro dell'interno, datata 24 marzo 1993, in cui viene denunciata "la palese inosservanza del principio di legalita' e l'uso distorto della cosa pubblica utilizzata per il perseguimento di fini estranei al pubblico interesse". Inoltre, la sezione enti locali della Corte dei conti, secondo quanto si rileva dallo stralcio versato dallo stesso presidente, in riferimento al triennio 1989/91, della relazione diretta al Parlamento, rileva "una evidente carenza organizzativa nella gestione delle funzioni connesse all'accertamento ed alla riscossione delle entrate; funzioni affidate ad imprese private, ivi compresa quella dei controlli e della emissione dei ruoli". Cio' posto, la sezione ritiene le limitazioni poste al giudizio de quo, nei sensi sopra riferiti, a seguito dell'intervenuto art. 64 della legge n. 142/1990, che ha abrogato gli artt. 310 t.u.l.c.p. n. 383/1934 e 226 del regolamento citato di attuazione, confliggenti con le seguenti norme della Costituzione: 1) il limite dell'oggetto introdotto dalla 142 appare incoerente ed irrazionale (e quindi di dubbia costituzionalita' per contrasto con l'art. 3, sotto il profilo del difetto del requisito di ragionevolezza che una norma deve possedere), specie se confrontato con gli obiettivi fissati dal legislatore nella stessa legge 142, ed in altre disposizioni normative: a) il legislatore, in diverse occasioni, ha introdotto l'obbligo per gli amminstratori di perseguire condizioni di equilibrio nella gestione degli enti locali: la legge 142, art. 55, secondo comma, (confermando i principi posti con il d.P.R. n. 421/1979, artt. 3 e 4) ha posto l'obbligo di osservare nel bilancio di previsione i principi dell'universalita', dell'integrita' e del pareggio economico e finanziario; gli artt. 1-bis del d.-l. 1 luglio 1986, n. 318 nel testo come risultante dalle leggi di conversione n. 488 del 9 agosto 1986, e 12-bis della legge n. 80 del 15 marzo 1991 (che ha convertito con modificazioni il d.-l. 12 gennaio 1991, n. 6) hanno previsto il rispetto del pareggio finanziario e degli equilibri stabili per la copertura della spesa corrente e per il finanziamento degli investimenti, con l'onere della adozione di provvedimenti di riequilibrio sia in corso di esercizio che successivamente, ove il consuntivo si chiuda in disavanzo o rechi la indicazione di debiti fuori bilancio. Ora solo la verifica del consuntivo (da cui e' dato rilevare il comparire di debiti fuori bilancio o la iscrizione di residui attivi privi di valido titolo giuridico e contabile che ne legittima la iscrizione o carenze nell'accertamento delle entrate) consente di evidenziare se tali principi siano stati rispettati. Vero e' che la stessa legge prevede il controllo sul consuntivo da parte del Comitato regionale di controllo, ma il suo intervento - in disparte il limite rappresentato dalla carenza dei necessari requisiti di indipendenza dell'organo - non puo' considerarsi sostitutivo o alternativo di quello del giudice contabile, sia perche' l'esercizio di forme di controllo amministrativo non puo' condizionare la attivita' giurisdizionale, che "tende a garantire l'interesse oggettivo alla regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale dell'ente, evitando, tra l'altro, il sospetto di compiacenti omissioni e di pratiche lassiste, in ottemperanza al duplice principio della imparzialita' e del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, (Corte costituzionale n. 68/1971), sia perche' l'esercizio di tale controllo (art. 46, ottavo comma, della legge n. 142) e' subordinato al mancato decorso del termine di quaranta giorni e quindi rischia di divenire meramente eventuale; b) diverse disposizioni di legge riconducono gravi e rilevanti conseguenze alla assunzione di impegni oltre le disponibilita' di bilancio ed hanno comminato effetti sanzionatori per i comuni che si trovano in stato di dissesto. La stessa legge n. 142/1990, art. 55, quinto comma, ha sancito che "gli impegni di spesa non possono essere assunti senza intestazione della relativa copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio; senza tale attestazione l'atto e' nullo di diritto". Senza fermarsi a considerare quali possano essere le problematiche interpretative connesse a tale disciplina, non puo' sfuggire che la nullita' di tale atto di impegno, dovrebbe o potrebbe comportare la responsabilita' degli amministratori per gli effetti derivanti dalla violazione della norma, e solo eventualmente (nella ipotesi in cui la irregolarita' avrebbe potuta essere rilevata) la responsabilita' del tesoriere, per avere dato luogo a pagamenti disposti sulla base di atti nulli e quindi improduttivi di effetti, con la probabile conseguenza di dover stralciare dal discarico i relativi pagamenti, operazione che dovrebbe essere fatta in sede di giudizio di conto; c) ancora, l'art. 23, primo comma, della legge 24 aprile 1989, n. 144, ha fatto divieto alle amministrazioni - che presentino nell'ultimo conto consuntivo deliberato disavanzo di amministrazione o debiti fuori bilancio - di assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge; comminando la nullita' delle relative deliberazioni. Nel caso cio' non di meno avvenga, ai sensi del successivo quarto comma, "il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura". L'applicazione della norma a fortiori comporta verfiche sulla esposizione nel conto di debiti fuori bilancio o sulla veridicita' del risultato di amministrazione esposto nel consuntivo, verifiche che non possono essere fatte se non in sede di giudizio di conto. Non si puo', infatti, dubitare che, se si accertasse che l'avanzo esposto in bilancio in uno degli esercizi considerati non corrispondesse alla realta' (e cio' al fine di evitare la applicazione della rigorosa disciplina indicata) per avere le amministrazioni esposto residui attivi inconsistenti o sopravalutate le entrate o non iscritti in bilancio i debiti (come puo' far supporre il dato del continuo riemergere di passivita' pregresse), dovrebbero ritenersi affette da nullita' le delibere di impegno di spese per servizi non espresssamente previsti dalla legge. In questo caso, e' evidente che la responsabilita' della conseguente declaratoria di nullita' dei pagamenti eseguiti non potrebbe ricadere sull'ignaro tesoriere, ma essere imputata agli amministratori. Ora, in disparte ogni problematica derivante dalla applicazione di siffatta innovativa disciplina, sembra rispondente a creteri di razionalita' che le diverse responsabilita' - anche per ragioni di economia processuale, per evitare contrasti di giudicati o duplicazioni di istruttoria - siano accertate in un simultaneus processus, fermo restando l'obbligo - a garanzia del diritto di difesa - della contestazione degli specifici addebiti ai soggetti ritenuti responsabili, nelle forme previste dal regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti. Se cosi' non fosse, le predette e le altre disposizioni che introducono siffatti limiti di gestione, nel proposito di pervenire al contenimento della spesa pubblica, sia in relazione ai principi di coordinamento previsti, dall'art. 119 della Costituzione sia in armonia con la linea di tendenza di limitare l'indebitamento complessivo, anche in ossequio allo ratio di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, si ridurrebbero a puri manifesti di buone intenzioni. Tanto piu' che e' di frequente rilevazione il tentativo di molte amministrazioni di sottrarsi alle gravi conseguenze previste dal legislatore - quali l'obbligo del riconoscimento di tali debiti limitatamente alle spese derivanti da espletamento di pubbliche funzioni e servizi, con conseguente indicazione dei mezzi di copertura (art. 24, secondo comma, del d.-l. n. 66/1989, convertito con legge n. 144 del 24 aprile 1989); le limitazioni in tema di assunzione di personale e di mutui per investimenti, a far tempo dalla deliberazione di rateizzazione (art. 24, nono comma, d.-l. n. 66) - ricorrendo all'occultamento del disavanzo o iscrivendo nel consuntivo le spese una volta indicate come facoltative e tenendo fuori bilancio quelle strettamente riferite a servizi essenziali (ad. es. le spese per fonitura di elettricita'), per le quali la legge consente il finanziamento tardivo. Ora sembra a questa Corte che il giudizio sul consuntivo - che tende ad accertare la veridicita' dei dati della gestione finanziaria dell'ente e la non elusione di siffatte prescrizioni - costituisca uno strumento necessario al conseguimento di quegli obiettivi (integrita', universalita' del bilancio, contenimento della spesa pubblica) perseguiti o dichiarati dal legislatore, per cui appare contrastante con il principio di razionalita' introdurre un limite cosi ' grave ed incomprensibile all'oggetto del giudizio de quo, quale fin qui storicamente si era venuto a delineare. La irrazionalita' del richiamato assetto legislativo risulta anche evidente dal confronto con la norma di cui all'art. 25, dodicesimo comma, del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, nel testo che risulta dalla legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144, in base alla quale il ricostituirsi, dopo l'intervento di provvedimento di riequilibrio previsti dalla legge stessa, di disavanzi di amministrazione o di debiti fuori bilancio "comporta il rinvio a giudizio della Corte dei conti dei fatti di gestione che hanno determinato i nuovi squilibri e l'accertamento delle relative responsabilita' con tutti gli effetti conseguenti". Tale effetto dovrebbe, appunto, conseguire all'accertamento delle condizioni previste dalla legge, effettuato in sede di giudizio di conto; 2) la sottrazione del conto consuntivo al giudizio necessario di conto appare in contrasto anche con l'art. 103, secondo la lettura a questo data dalla Corte costituzionale (nelle sentenze nn. 68/1971; 63/1973; 114ÿ/ÿ1974; 129/1981; 185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla Corte di cassazione (per tutte cfr. ss.uu. sentenze nn. 2616/1968; 3375/3384 del 19 luglio 1989); entrambi, infatti, hanno affermato da un parte che la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le materie di contabilita' pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, ne ha accolto la nozione tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita' e del giudizio di conto, e dall'altra che questo costituisce insopprimibile momento di garanzia della correttezza della gestione degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti. In particolare, nella sentenza n. 114 citata si afferma che e' principio generale del nostro ordinamento il necessario assogettamento del pubblico denaro (proveniente dalla generalita' dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni) al giudizio necessario di conto; infatti "a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprieta' dell'ente e' consentito sottrarsi alla garanzia costituzionale della correttezza della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale". Tali principi sono stati confermati con la sentenza n. 1007/1988 citata della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art. 122, primo comma, del d.-l. del presidente della regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo 1963, n. 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva al consiglio comunale il potere di deliberare in conto consuntivo con effetti sostitutivi della decisione della Corte dei conti: da tale sentenza si evince in maniera chiara che cio' che deve essere sottoposto a giudizio e' non solo il conto di cassa, ma il conto consuntivo, e cio' corrisponde ad un "principio fondamentale dello Stato di diritto", recepito dall'art. 103. Con gli indicati interventi normativi (che peraltro non appaiono il risultato di un complessivo ed approfondito esame sulle conseguenze della limitazione del giudizio de quo), in sostanza, come in udienza ha denunciato il pubblico ministero, rimuovendo il potere - conferito a questo giudice prima della entrata in vigore della 142 - di diretta rilevazione dei fatti di gestione dal consuntivo, si sta trasferendo alla sede amministrativa ed a quella politica un potere di verifica e di iniziativa che viene a condizionare l'attivita' giurisdizionale de quo, di fatto disattivando una funzione accertativa giudiziale che e' stata ritenuta una garanzia effettiva dell'interesse dei cittadini alla correttezza delle gestioni degli enti locali. Riprova di cio' la si puo' rinvenire nella disposizione di cui all'art. 25, tredicesimo comma, della citata legge n. 144/1989, che demanda al Ministero dell'interno, in sede di esame degli atti relativi ai debiti fuori bilancio, il potere di contestare i fatti agli amministratori o funzionari ritenuti responsabili; detta norma, poi, conferisce allo stesso dicastero, "qualora rilevi dall'esame degli atti dolo o colpa grave... ed ove non trovi giustificate le deduzioni dagli stessi presentate il potere di rimettere agli atti alla procura della Corte dei conti"; in tal modo, una volta travolto il principio del diretto esame consuntivo da parte del giudice contabile, il Ministero stesso verrebbe a costituire l'unica fonte conoscitiva di siffatti atti di gestione fuori bilancio, subordinatamente, per di piu', alla valutazione positiva della sussistenza dell'elemento soggettivo della responsabilita', valutazione che non puo' che essere riservata al giudice. Ora, in disparte il problema della costituzionalita' di tale norma derivante anche dal fatto che tali valutazioni sono rimesse ad organi burocratici sprovvisti dei requisiti di neutralita' necessari (cfr. sent. Corte costituzionale n. 55/1966), e' di tutta evidenzia che (cfr. sent. Corte costituzionale n. 114/1975) le riferite disposizioni hanno introdotto un sistema che viene a condizionare l'effettiva operativita' dell'organo giurisdizionale contabile nella materia. Peraltro, chi ha proposto tale norma non ha considerato che la sussistenza dell'elemento soggettivo che fonda la responsabilita' contabile e la stessa configurabilita' del danno erariale non possono essere accertate in riferimento solo alla natura della spesa fuori bilancio (equivoco in cui qualche volta cade lo stesso giudice contabile) dato che gli amministratori sono molto attenti in genere a porre fuori bilancio - sottovalutando nelle previsioni le effettive necessita' - proprio le spese riferite ai servizi necessari al funzionamento dell'ente o strettamente istituzionali; e proprio grazie a tale sottovalutazione possono trovare copertura in bilancio le spese riconducibili a servizi non necessari. Pertanto, e' solo ponendo a raffronto - come avveniva prima della legge n. 142 - tali partire con le altre contenute nel conto relativo all'esercizio di riferimento che possono evidenziarsi i comportamenti degli amministratori che, cosi' operando, si sono sottratti alla regola del pareggio di bilancio; in disparte il problema della necessita' per il giudice contabile di riconsiderare, alla luce del grave disavanzo dello Stato e delle rigorose norme di contabilita' introdotte negli ultimi anni, la stessa nozione di danno erariale, provocato dalla elusione dell'obbligo di copertura delle spese. E', dunque, ravvisabile una evidente violazione dell'art. 103 della Costituzione, nella interpretazione data dalla stessa Corte costituzionale, con le sentenze nn. 114/1975 e 1007/1988, in base alla quale e' il conto consuntivo, nella sua interezza, che deve essere sottoposto al giudizio della Corte e non puo' la Corte stessa venire a conoscenza della esistenza di poste contabili (quali debiti fuori bilancio, la esistenza di disavanzi di amministrazione, etc) attraverso la indeterminazione dell'autorita' politica; esso deve poterlo fare tramite il diretto riscontro del predetto documento contabile e della documentazione ad esso allegata. In definitiva, sembra a questo giudice che l'assetto dato dal legislatore alla materia non sembra razionale e soprattutto funzionale al perseguimento dell'obiettivo primario di predisporre incisive attivita' di verifiche della gestione contabile a garanzia effettiva dell'interesse dei cittadini alla correttezza della gestione e a garanzia dell'esercizio responsabile del munus pubblico di amministratore. Viene con la richiamata disciplina abrogativa assegnato alla Corte, nella sua espressione giurisdizionale, un ruolo meramente notarile sulla regolarita' formale di atti che sono terminali di una gestione, un ruolo, cioe', non sostanziale nella verifica del processo gestionale delle risorse finanziarie pubbliche; 3) ancora detta limitazione dell'oggetto del giudizio de quo sembra contrastare anche con i principi di imparzialita' e di buon andamento della amministrazione previsti all'art. 97, perche' la sottrazione al giudizio necessario di conto pregiudica l'accertamento della effettiva situazione di bilancio e non ostacola, consentendo pratiche lassiste e rendendo problematico il perseguimento delle relative responsabilita', l'ampliarsi progressivo del disavanzo finanziario fino al (e non prevedendolo) dissesto; in tal modo si viene a favorire il ricrearsi di quelle situazioni di dissesto finanziario generalizzato degli enti locali, che oggi risultano di nuovo indebitati per cifre imprecisate, nonostante il tentativo di risanamento della finanza locale perpetrata con la normativa "Stammati". Il decreto legislativo n. 77/1995 costituisce la conferma che l'operazione di risanamento della finanza locale non e' finora avvenuta; con tale provvedimento si procede ad un nuovo ripianamento delle gestioni dissestate degli enti locali, con l'accensione di mutui, secondo la disciplina prevista all'art. 96, disciplina che non risulta rispondente al principio costituzionale di copertura delle leggi di spesa indicato all'art. 81 della Costituzione, secondo quanto affermato dalle ss.rr. della Corte dei conti con il parere n. 303 s.r.d. reso sul provvedimento stesso in data 19 dicembre 1994. Ora, in disparte ogni considerazione sulla sufficienza o meno - in relazione agli accresciuti gravosi compiti - dei mezzi finanziari trasferiti o attribuiti agli enti locali, valutazione che non compete a questo giudice, deve ritenersi che la gestione della spesa senza che si tenga in alcun conto dei limiti di bilancio, il mancato rispetto del principio della integrita' del bilancio (con la conseguenza di scaricare gli oneri - attraverso la non contabilizzazione di essi tra gli impegni - sui futuri esercizi e quindi sulle future generazioni) si pongano in contrasto con il rispetto del principio di buon andamento; la sottrazione della verifica di tali limiti al giudizio di conto non puo' che determinare situazioni di maggiori cedimenti sul piano della spendita non ponderata delle risorse, ed in definitiva vulnera profondamente la stessa autonomia degli enti, in quanto impedisce ai nuovi amministratori di realizzare i fini istituzionali ed i programmi sulla base dei quali sono stati eletti, a causa della situazione di bilancio ereditata; aggrava, infine, l'onere a carico dello Stato, che e' costretto a intervenire, facendo ricorso ad ulteriore indebitamento, vanificando nel concreto peraltro quella azione di coordinamento della finanza regionale e locale demandata dall'art. 119 della Costituzione al legislatore nazionale e quella esigenza di contenimento del disavanzo espressa dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Con conseguenze che ricadono necessariamente al livello di indebitamento complessivo dello Stato, dato che la esistenza di risultati di amministrazione apparentemente positivi negli enti appartenenti alla finanza pubblica costituiscono oneri latenti, destinati a incidere sul livello di indebitamento previsto dalle leggi finanziarie. La rimozione di verifiche quali quelle considerate fa venir meno uno strumento di garanzia essenziale, anche in relazione alla azione preventiva che esplica, della fedele rappresentazione delle gestioni, senza considerare che la stessa attivita' referente al Parlamento conferita dall'art. 13 della legge n. 51/1982 alla apposita sezione della Corte dei conti potrebbe risultare vulnerata ogni qual volta si fondasse su rappresentazioni contabili non corrispondenti alla reale situazione finanziaria. Le stesse censure vanno mosse al citato art. 67 del decreto legislativo n. 77/1995, che deve intendersi meramente esecutivo della norma di cui all'art. 58, secondo comma, della legge n. 142, nella parte in cui pone a carico del rappresentante legale dell'ente l'obbligo di trasmissione alla sezione giurisdizionale del solo conto del tesoriere e non anche del rendiconto della gestione previsto dal successivo art. 69. Le suddette considerazioni fanno ritenere non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale proposta.