LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronuciato la seguente ordinanza nel giudizio sui conti resi dal
 tesoriere del comune di Terlizzi per gli esercizi 1986/1992;
   Vista  la  relazione  depositata  in  data 22 dicembre 1994, con la
 quale il magistrato relatore sui conti della  Provincia  di  Bari  ha
 chiesto  che  fosse demandata al giudizio della sezione la cognizione
 sui conti predetti, iscritta  al  n.  320/G.C.  EL  del  registro  di
 segreteria;
   Visti gli altri atti e documenti di causa;
   Uditi  nella  pubblica  udienza del 3 maggio 1995 il relatore cons.
 Vito  Minerva  ed  il  Pubblico  Ministero  nella  persona  del  vice
 procuratore generale dott. Francesco Paolo Romanelli.
                           Ritenuto in fatto
   Il  magistrato  relatore  sui  conti  della  provincia  di  Bari ha
 ritenuto di portare, con un'unica relazione, alla cognizione ed  alle
 valutazioni  del  Collegio  -  anche  perche'  incidenti sulla stessa
 ampiezza della istruttoria che si dovrebbe esperire - la esistenza di
 taluni aspetti gestionali afferenti i conti  in  epigrafe,  in  parte
 relativi  alla  gestione  del  tesoriere (quali il pagamento di spese
 oltre i fondi stanziati in bilancio sia in conto  residui  che  sulla
 competenza  per  gli  esercizi  1986,  87,  88,  89,  92 punto 10 del
 verbale)    ed    altri     invece     attienti     alla     gestione
 amministrativo-finanziaria dell'ente.
   In   particolare,   fa   rilevare  il  magistrato  relatore,  sotto
 quest'ultimo  aspetto,  che  dalla  verifica   effettuata   risultano
 costantemente  contabilizzati  in  tutti  gli  esercizi "debiti fuori
 bilancio" ed "interessi passivi" negli esercizi dal 1986 al 1990, che
 appaiono di notevole entita' rispetto  ai  fondi  amministrativi  dal
 comune,  oltre  alla  iscrizione  in  bilancio  di  residui attivi di
 notevole importo.
   Risulta,  inoltre,  negli  esercizi  1990  e  1992   la   esistenza
 rispettivamente  di  spese  legali  derivanti  da  pignoramenti sulla
 tesoreria per oltre 32 milioni e pagamenti per passivita' pregresse a
 seguito di atti di pignoramento per oltre 233 milioni; pagamenti  nel
 1992 di residui perenti per oltre 231 milioni.
   Nonostante cio' - fa rivelare il magistrato relatore - il risultato
 finale   della  gestione  dell'ente  e'  sempre  stato  costantemente
 positivo, chiudendo con un avanzo di amministrazione.
   La esistenza di tali partite induce il relatore  a  dubitare  della
 esattezza  dei  dati  esposti in bilancio (contrassegnato peraltro da
 numerose  anomalie;  correzione  dei  dati  di  consuntivo,   mancata
 coincidenza nelle riprese dei residui attivi e passivi etc.), potendo
 il  costante  emergere  di  debiti  fuori  bilancio,  il pagamento di
 interessi  passivi,  gli  atti   di   pignoramento   essere   aspetti
 sintomatici di una gestione invece gravemente deficitaria.
   A  corrobare  questi  dubbi  concorre,  peraltro,  la relazione dei
 revisori sull'esercizio 1992, in cui si sottolinea che:
     a) il risultato positivo del 1992 dovra' "necessariamente  essere
 rettificato alla luce delle passivita' pregresse";
     b)  per  i  trasferimenti  regionali, e' necessario accertarne la
 reale consistenza, stante il dissesto finanziario dell'ente.
   Osserva ulteriormente l'organo di controllo interno che:
     il  gettito   dei   proventi   contravvenzionali,   previsto   in
 145.000.000,  "evidenzia  un  totale  accertamento  di  L. 54.000.000
 circa, di cui solo 1.069.563 risultano versate";
     la eseguita' dei proventi dei beni di proprieta'  comunale  (cat.
 2,  titolo  3),  e'  tale  per  cui "si appalesa la necessita' di una
 inventariazione dei beni con il conseguente adeguamento dei  relativi
 canoni";
     per  i  servizi  a  domanda individuale, la contribuzione "appare
 inferiore  alla  norma  e  comunque  non  adeguata  alle   condizioni
 finanziarie dell'ente".
   Il  predetto  magistrato,  affermata  la necessita' di accertamenti
 sulla esistenza di responsabilita' di carattere contabile  in  ordine
 alla  eventuale  non acquisizione o tardivo versamento delle somme di
 cui ai proventi contravvenzionali (lett. c),  rileva  che  il  quadro
 descritto   e   le  osservazioni  dell'organo  di  controllo  interno
 ingenerano il dubbio che l'avanzo esposto in bilancio non corrisponda
 alla reale situazione di bilancio e che addirittura il  comune  possa
 trovarsi in condizioni di dissesto.
   Si  fa  rilevare  in  proposito che lo stesso collegio dei revisori
 sembra muovere, a seguito dell'esame delle poste attive, un  richiamo
 agli  amministratori,  quando osserva che "l'effettiva consistenza di
 tali poste (attive) costituisce elemento essenziale per una  corretta
 gestione   finanziaria   dell'ente,   giacche'   la  loro  preventiva
 determinazione e' posta a base per l'assunzione di impegni finanziari
 e per il sostanziale pareggio di bilancio.
   Il venir meno di tale presupposto  puo'  determinare  squilibri  di
 gestione  con  conseguenti disavanzi di amministrazione, che, ove non
 opportunamente gestiti, potrebbero portare ad  una  dichiarazione  di
 dissesto finanziario".
   E  la  situazione  di stato di dissesto sembre emergere anche dagli
 interventi  di  alcuni  consiglieri,  resi  in  sede  di   esame   ed
 approvazione della delibera di approvazione del conto 1992, conto che
 e'   stato   controllato   senza  rilievi  dall'organo  regionale  di
 controllo.
   In ordine  ai  fatti  segnalati,  il  predetto  magistrato  non  ha
 ritenuto  di  potere  espletare  l'istruttoria  volta ad accertare la
 reale  situazione  finanziaria  dell'ente,  anche   al   fine   della
 individuazione   di   eventuali  responsabilita'  di  gestione  degli
 amministratori (autonome o connesse con quelle  del  tesoriere),  per
 mancato  o inadeguato accertamento ed acquisizione di entrate (vedasi
 punti a, c, d del verbale di verifica) o per  l'omessa  registrazione
 delle  spese  alla  voce  impegni  (debiti  fuori  bilancio) o per il
 risultato  effettivo  della  gestione,   apparentemente   in   avanzo
 (pignoramenti  in  tesoreria, interessi passivi eccessivi), ritenendo
 sia cio' impedito dalla sopravvenuta legge n.  142ÿ/ÿ1990,  che,  nel
 ricondurre   sotto   un   unico   giudice  le  responsabilita'  degli
 amministratori e dei  dipendenti  degli  enti  locali,  sembra  avere
 ristretto il presente giudizio alla gestione di cassa.
   Deve ritenersi, infatti, che, a seguito della disciplina introdotta
 dal  combinato disposto dall'art. 58, secondo comma, e 64 della legge
 n. 142/1990, che ha abrogato le norme del t.u.l.c.p.  n.  383/1934  e
 del relativo regolamento di esecuzione approvato con r.d. 12 febbraio
 1911,  n.  297,  (rispettivamente  artt. 310 e segg.ti e 226 reg.) in
 materia di giudizi sui conti consuntivi degli enti locali,  l'oggetto
 del giudizio di conto si e' ristretto alla gestione del tesoriere.
   A  fronte  del  riemergere  poderoso del debito sommerso degli enti
 locali - segnalato piu' volte dalla stessa sezione di controllo della
 Corte di conti sulle gestioni degli enti locali istituita con  l'art.
 13  della  legge  n.  51/1982  e nelle dichiarazioni rese alla stampa
 anche da autorita' di Governo (che hanno stimato in ben oltre  i  due
 milioni  di  miliardi  di  disavanzo,  alla quale previsione potrebbe
 contribuire in maniera massiccia il disavanzo palese o occulto  delle
 regioni  -  a quanto risulta, ad es., la regione Puglia avrebbe oltre
 5.000 miliardi di debiti fuori bilancio, - e degli enti  locali),  il
 magistrato  ha  osservato  di  non  potersi  sottrarre  al  dovere di
 sollecitare una verifica di legittimita' costituzionale  delle  nuove
 norme,  laddove  si  interpretino  nel  senso  che sarebbero venute a
 limitare l'oggetto del giudizio e cio' proprio in una fase storica in
 cui e' sempre piu' avvertita la  esigenza  di  assicurare,  a  giusto
 titolo,  la  piena autonomia (anche impositiva) degli enti locali, in
 un contesto, tuttavia, il risanamento  della  finanza  pubblica,  che
 richiede  certamente  come  presupposto  che  siano osservati sia per
 l'entrata  che  per  la  spesa  i  principi   dell'universalita'   ed
 integrita'  (art.  55,  secondo comma, della legge n. 142/1990) nella
 stesura dei  conti  degli  enti  facenti  parte  della  c.d.  finanza
 pubblica  allargata,  individuati  nell'art.  1,  secondo  comma, del
 decreto legislativo n. 29/1993.
   Ritiene  conclusivamente  il  magistrato  relatore  che  le   norme
 suddette,  in  quanto  limitative  del  giudizio  di  conto alla sola
 gestione di cassa, appaiono confliggenti con gli artt. 3,  97  e  103
 della  Costituzione.    In  data  2  marzo  1995  si e' costituito in
 giudizio il tesoriere, Banca Cattolica  S.p.a.,  con  l'avv.to  Mario
 Boccardi,  il  quale  -  premesso  che  il  tesoriere  ha  effettuato
 pagamenti su mandato e nei limiti dei fondi stanziati in bilancio sia
 in conto residui che sulla competenza - non si oppone ad una verifica
 di legittimita' costituzionale  sulle  limitazioni  dell'oggetto  del
 giudizio,   determinato   principalmente  dall'art.  64  della  legge
 142/1990, nella parte in cui ha abrogato l'art. 226  del  regolamento
 approvato  con  r.d.  del  1911.    Venuto il giudizio in discussione
 all'udienza del 2 marzo 1995, il pubblico Ministero  ne  chiedeva  il
 rinvio   in   considerazione   della   imminente   pubblicazione  del
 regolamento avente ad oggetto  il  nuovo  ordinamento  finanziario  e
 contabile  degli  enti  locali  e  dell'intendimento  da  parte della
 procura  di  acquisire  gli  atti  della   Commissione   parlamentare
 d'inchiesta  sul  fenomeno  della mafia, risultando l'amministrazione
 del comune di Terlizzi sciolta per infiltrazioni mafiose.  In data 21
 aprile la procura depositava la nota n. 1945 del 14 marzo 1995 con la
 quale  la  presidente  della  predetta  commissione  parlamentare  ha
 trasmesso copia della documentazione libera in possesso della stessa.
 Nell'odierna pubblica udienza,  sia  il  pubblico  ministero  che  la
 difesa  del  tesoriere  manifestavano la loro adesione alla richiesta
 avanzata dal magistrato relatore di deferire la questione concernente
 l'ambito del giudizio di conto all'esame della Corte costituzionale.
   Il pubblico ministero, sottolineava,  in  particolare,  la  estrema
 incertezza  venutasi  a  determinare  nella materia, dopo la legge n.
 142/1990, la quale, abrogando l'art. 226 del regolamento del 1911, ha
 ristretto  la  verifica  giudiziale  al  solo  conto  di  cassa;   ha
 sottolineato  come gli artt. 67 e seguenti del decreto legislativo 25
 febbraio 1955, n. 77, hanno espressamente previsto - contrariamente a
 quanto affermato dalla Corte dei conti con costante giurisprudenza  -
 l'invio,  ai  fini  del  giudizio necessario di conto, da parte delgi
 enti locali del solo conto del tesoriere; cio', oltre  a  determinare
 effetti   preclusivi   sulla  attivita'  istruttoria  del  magistrato
 competente a norma degli artt. 27 e seguenti del t.u.  approvato  con
 r.d. 13 agosto 1933, n.  1038, fara' venir meno per la stessa procura
 la possibilita' di cognizione dei fatti di gestione.
                        Considerato in diritto
   Preliminarmente, viene disposta la riunione dei giudizi di conto ex
 art. 274 c.p.c..
   La  sezione  ritiente  rilevante,  in  relazione  all'ambito  degli
 accertamenti da eseguire in ordine ai fatti di  gestione  evidenziati
 nella relazione del magistrato relatore ed alla conseguente pronuncia
 sul  conto,  oltre  che non manifestamente infondata, la questione di
 costituzionalita' sollevata dallo stesso  magistrato,  condividendola
 nei seguenti termini.
   A  seguito  della  entrata  in  vigore del combinato disposto degli
 artt. 58, secondo comma e 64, primo comma, della legge 8 giugno 1990,
 n. 142, che ha abrogato,  tra  l'altro,  l'art.  310  del  t.u.l.c.p.
 approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e l'art. 226 del regolamento
 di esecuzione, approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, l'oggetto
 del  giudizio  di  conto  con riferimento agli enti locali, come gia'
 affermato da questa sezione con sentenza n. 48 del 30 marzo/19  marzo
 1994,  in  conformita'  all'indirizzo  seguito  dalle sezioni prima e
 seconda, che hanno ritenuto  tale  disciplina  applicabile  anche  ai
 giudizi  pendenti  relativi agli esercizi antecedenti alla entrata in
 vigore della  legge  n.  142,  si  e'  ristretto  alla  gestione  del
 tesoriere,  ossia  a  quella  sola parte, gia' individuata nel citato
 art. 226, riguardante la definizione dei "rapporti di  credito  e  di
 debito", fra il tesoriere ed l'ente locale.
   Con  la  citata sentenza, questa sezione, peraltro, ha affermato il
 perdurante obbligo per gli  enti  locali,  anche  ai  fini  del  mero
 giudizio sulla gestione di cassa, di provvedere al deposito del conto
 consuntivo,  del  quale  fa  parte integrante il conto del tesoriere,
 conto  che  deve  essere  previamente  sottoposto   a   verifica   ed
 approvazione da parte del consiglio comunale o provinciale.
   Cio'  perche',  la  gestione del tesoriere trova necessariamente il
 suo supporto, fondamento, legittimazione e limite nella  impostazione
 del   bilancio   di   previsione  e  nei  relativi  provvedimenti  di
 assestamento, nel bilancio di cassa, e nei relativi dati esposti  nel
 consuntivo.
   Costituendo  la  gestione  di  tesoreria  la parte conclusiva della
 gestione dell'ente e trovando essa legittimazione e limite negli atti
 autorizzativi posti in essere dagli amministratori, oltre  che  negli
 stanziamenti   di   bilancio,  non  risulta  possibile  emettere  una
 pronuncia di regolarita' sulla gestione di cassa, prescindendo  dalla
 cognizione  e  dalla  valutazione degli atti medesimi e dal raffronto
 accertamenti/riscossioni per le entrate ed impegni/pagamenti  per  le
 spese.
   Aggiungeva  la sezione che, poiche' ben possono verificarsi ipotesi
 di responsabilita' solidali tra tesorerie e amministratori  (ad.  es.
 nel  caso  di  pagamenti  senza disponibilita' di fondi in bilancio),
 l'acquisizione dell'intero consuntivo era condizione  necessaria  per
 la  pronuncia.  La  gestione  dell'ente,  invero,  si  compone di due
 momenti essenziali, ma intimamente connessi ed  inscindibili:  quello
 in  cui  sorge il diritto alla riscossione o l'obbligo al pagamento e
 quello meramente esecutivo che si traduce  nella  acquisizione  della
 entrata stessa e nel pagamento della spesa deliberata; ma la gestione
 in  se  e'  chiaramente  unitaria:  la  gestione  di cassa non e' che
 l'aspetto terminale di quella dell'ente; l'accertamento di  eventuali
 responsabilita'  (conseguenti  ai  fatti  su  esposti  ed allo stesso
 dissesto  finanziario  che  e'  logico  risultato  di  una   gestione
 scriteriata  in  quanto tende a spendere oltre che le possibilita' di
 bilancio) non puo' essere frantumata in diversi giudizi, (sempre  che
 poi  possa  aversi  cognizione  di  tali  fatti al di fuori del conto
 consuntivo)  e  cio'  anche  al  fine  di  meglio  puntualizzare   le
 responsabilita'  distinte  o viceversa connesse del tesoriere e degli
 amministratori.
   Deve, dunque, riaffermarsi, la  imprenscindibile  necessita'  della
 trasmissione, a cura, dell'ente, non del mero conto del tesoriere, ma
 del  conto  consuntivo,  che  e' l'unico strumento valido conoscitivo
 della gestione.
   La acquisizione  di  tale  documento  -  deve  sottolinearsi  -  e'
 divenuta  ancor  piu'  determinante  agli  effetti  conoscitivi della
 gestione a seguito  della  sottrazione  al  controllo  preventivo  di
 legittimita'  degli  organi  regionali  di  controllo  degli  atti di
 gestione degli enti (adottati  dalla  Giunta)  operata  dall'art.  45
 della 142/1990.
   Deve,  peraltro,  rappresentarsi  che  nelle  more  del giudizio e'
 intervenuto il decreto legislativo n. 77 del 25 febbraio  1995,  che,
 nel  dettare  il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti
 locali,  ha  previsto,  all'art.  67,  l'obbligo   "per   il   legale
 rappresentante  dell'ente"  di depositare ai fini del giudizio presso
 la segreteria  della  sezione  giurisdizionale  il  solo  "conto  del
 tesoriere",  olre che dei suoi allegati e ogni altro atto o documento
 richiesto dalla Corte stessa.
   Cio' premesso, la sezione rileva che, sulla base  della  disciplina
 abrogata  dall'art.  64  citato,  il  giudizio  sui  conti degli enti
 locali, oltre che avere ad oggetto la  definizione  dei  rapporti  di
 credito-debito  tra  l'ente ed il tesoriere, era finalizzato anche ad
 accertare la  regolarita'  della  gestione  finanziaria  dell'ente  e
 quindi   la   esattezza   dei  risultati  di  bilancio  (in  evidente
 parallelismo con la funzione accertativa esercitata dalla  Corte  dei
 conti  riguardo  al  bilancio  dello  Stato  in  sede  di giudizio di
 parificazione ex art. 40 del t.u.  12 luglio 1934, n. 1214).
   In  questa  sede  poteva  anche addivenirsi alla modifica di quelle
 partite del conto che si rivelavano  giuridicamente  o  contabilmente
 inesatte,  con  la  cancellazione,  ad  es.,  dal  novero dei residui
 passivi  o  attivi  di  quelle  partite  che  non   trovavano   alcun
 fondamento,  anche  quando  cio'  non  era  connesso  alla  posizione
 contabile del tesoriere (cfr. Sez. I, 13 luglio 1961, n. 36).
   In sede di tale giudizio, a norma dell'art. 226 citato,  occorreva,
 infatti,  esaminare  "il  merito  giuridico  e  contabile di ciascuna
 partita del conto, i rapporti di credito e di debito tra il tesoriere
 ed il comune, e tutte le questioni che dai medesimi possono nascere".
   Inoltre, sempre ai  sensi  dell'art.  226  citato,  l'esame  ed  il
 giudizio   potevano  estendersi  (quindi  cio'  costituiva  una  mera
 eventualita') - previa contestazione specifica - agli  amministratori
 responsabili  ai  sensi  di  legge  per  i danni derivanti da atti di
 gestione; tali responsabilita' possono risultare connesse con  quelle
 del  tesoriere,  donde  la  affermazione  del vincolo di solidarieta'
 nella condanna al risarcimento.
   L'art.  310  t.u.   poneva,   in   particolare,   l'obbligo   della
 trasmissione   del   conto  consuntivo  al  consiglio  di  prefettura
 (sostituito da questa Corte e  seguito  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n. 55/1966), ai fini della sottoposizione al giudizio
 di conto.
   Le norme predette (310 e 226)  sono  state  abrogate  espressamente
 dall'art.  64  della  legge  n. 142, di tal che deve ritenersi che il
 giudizio non ha piu' ad oggetto la gestione dell'ente, ma la verifica
 della regolarita' di  quella  parte  di  essa  che  e'  espressa  dai
 movimenti   della  cassa,  che  rappresenta  l'aspetto  esecutivo  (e
 peraltro marginale)  della  medesima  gestione,  con  preclusione  di
 qualsiasi  accertamento  in sede di questo giudizio sulla veridicita'
 della gestione finanziaria dell'ente, quale  rappresentata  nel  cont
 consuntivo (cfr. ss.rr. n.  721/1991).
   Cio'  determina, tra l'altro, la impossibilita' in sede di giudizio
 di conto di verificare  la  effettiva  consistenza  dei  residui,  il
 corretto  e  puntuale  accertamento  delle  entrate,  il rispetto del
 principio della integrita'  e  della  universalita'  del  bilancio  e
 soprattutto la effettivita' del risultato di amministrazione.
   Per quanto, in particolare, riguarda le entrate, e' da sottolineare
 che  solo  il raffronto tra previsioni ed accertamenti, e la verifica
 del  grado  di  attendibilita'  di  questi  ultimi,  e'   idonea   ad
 evidenziare,  a  consuntivo,  l'eventuale  esistenza di comportamenti
 compiacenti o elusivi della normativa che richiede l'applicazione dei
 tributi e la copertura dei servizi a domanda individuale  secondo  le
 aliquote previste nelle leggi finanziarie.
   L'esposizione,  poi,  di  un  presunto  avanzo  di  amministrazione
 (raggiungibile anche attraverso la sovraestimazione delle  previsioni
 di entrata) serve alla amministrazione a giustificare una imposizione
 fiscale modesta e di contro livelli elevati di spesa.
   Nella  fattispecie,  dunque,  sembra  inibito  a  questo giudice di
 compiere  accertamenti  istruttori  (come  ritenuto  dal   magistrato
 relatore)  volti  a  verificare la corretta gestione del bilancio del
 comune di Terlizzi, sia sotto il  profilo  del  mancato  accertamento
 delle  entrate che della effettiva consistenza dei residui attivi sia
 sotto il profilo della integrale annotazione degli impegni di  spesa;
 e',   in   conseguenza   impedito   di   accertare   se  l'avanzo  di
 amministrazione esposto nel conto sia effettivo oppure, come  paventa
 il   magistrato  relatore  sulla  base  di  alcuni  dati  sintomatici
 evidenziati  dall'esame  del  suo   collaboratore,   funzionario   di
 revisione,  e  dei  rilievi  effettuati  dal  collegio  dei  revisori
 dell'ente, (che non hanno avuto alcun seguito da parte dell'organo di
 controllo) se trattasi di amministrazione  di  disavanzo,  condizione
 che  potrebbe  essere  estesa  a  tutti o buona parte gli esercizi in
 giudizio.
   In conseguenza, viene anche ad essere  impedito  l'accertamento  di
 eventuali responsabilita' degli amministratori.
   E  cio'  e' tanto piu' grave nella fattispecie in quanto, oltre che
 alla irregolarita'  addotte  dal  magistrato  relatore  ed  a  quelle
 evidenziate  dal  collegio  dei revisori dell'ente, dagli atti liberi
 versati nel giudizio, in data 21 aprile 1995,  dal  presidente  della
 Commissione  parlamentare  di  inchiesta  sui  fenomeni  della mafia,
 risulta che il consiglio comunale di Terlizzi e'  stato  sciolto  con
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica in data 30 marzo 1993 per
 forme  di  infiltrazione   e   condizionamenti   della   criminalita'
 organizzata,   che   hanno   compromesso  "il  buon  andamento  della
 amministrazione" ed il "regolare funzionamento  dei  servizi",  sulla
 base  di  una  relazione  del  Ministro dell'interno, datata 24 marzo
 1993, in cui viene denunciata "la palese inosservanza  del  principio
 di  legalita'  e l'uso distorto della cosa pubblica utilizzata per il
 perseguimento di fini estranei al pubblico  interesse".  Inoltre,  la
 sezione  enti  locali della Corte dei conti, secondo quanto si rileva
 dallo stralcio versato dallo stesso  presidente,  in  riferimento  al
 triennio  1989/91, della relazione diretta al Parlamento, rileva "una
 evidente carenza organizzativa nella gestione delle funzioni connesse
 all'accertamento ed alla riscossione delle entrate; funzioni affidate
 ad imprese  private,  ivi  compresa  quella  dei  controlli  e  della
 emissione dei ruoli".
   Cio'  posto, la sezione ritiene le limitazioni poste al giudizio de
 quo, nei sensi sopra riferiti, a seguito dell'intervenuto  art.    64
 della legge n. 142/1990, che ha abrogato gli artt. 310 t.u.l.c.p.  n.
 383/1934 e 226 del regolamento citato di attuazione, confliggenti con
 le seguenti norme della Costituzione:
     1)  il limite dell'oggetto introdotto dalla 142 appare incoerente
 ed irrazionale (e quindi di dubbia  costituzionalita'  per  contrasto
 con  l'art.  3,  sotto  il  profilo  del  difetto  del  requisito  di
 ragionevolezza che una norma deve possedere), specie  se  confrontato
 con  gli obiettivi fissati dal legislatore nella stessa legge 142, ed
 in altre disposizioni normative:
      a) il legislatore, in diverse occasioni, ha introdotto l'obbligo
 per gli amminstratori di perseguire condizioni  di  equilibrio  nella
 gestione  degli  enti  locali:  la legge 142, art. 55, secondo comma,
 (confermando i principi posti con il d.P.R. n. 421/1979, artt. 3 e 4)
 ha posto l'obbligo di osservare nel bilancio di previsione i principi
 dell'universalita',  dell'integrita'  e  del  pareggio  economico   e
 finanziario;  gli  artt.  1-bis  del  d.-l. 1 luglio 1986, n. 318 nel
 testo come risultante dalle leggi di conversione n. 488 del 9  agosto
 1986, e 12-bis della legge n. 80 del 15 marzo 1991 (che ha convertito
 con  modificazioni  il d.-l. 12 gennaio 1991, n. 6) hanno previsto il
 rispetto del pareggio finanziario e degli equilibri  stabili  per  la
 copertura   della   spesa  corrente  e  per  il  finanziamento  degli
 investimenti,  con  l'onere  della  adozione  di   provvedimenti   di
 riequilibrio  sia  in  corso di esercizio che successivamente, ove il
 consuntivo si chiuda in disavanzo o rechi la  indicazione  di  debiti
 fuori bilancio.
   Ora  solo  la  verifica  del consuntivo (da cui e' dato rilevare il
 comparire di debiti fuori bilancio o la iscrizione di residui  attivi
 privi  di  valido  titolo  giuridico  e contabile che ne legittima la
 iscrizione o carenze nell'accertamento  delle  entrate)  consente  di
 evidenziare se tali principi siano stati rispettati.
   Vero  e' che la stessa legge prevede il controllo sul consuntivo da
 parte del Comitato regionale di controllo, ma il suo intervento -  in
 disparte   il   limite  rappresentato  dalla  carenza  dei  necessari
 requisiti  di  indipendenza  dell'organo  -  non  puo'   considerarsi
 sostitutivo  o  alternativo  di  quello  del  giudice  contabile, sia
 perche' l'esercizio di forme di  controllo  amministrativo  non  puo'
 condizionare  la  attivita'  giurisdizionale,  che "tende a garantire
 l'interesse oggettivo alla regolarita' della gestione  finanziaria  e
 patrimoniale   dell'ente,  evitando,  tra  l'altro,  il  sospetto  di
 compiacenti omissioni e di  pratiche  lassiste,  in  ottemperanza  al
 duplice  principio  della  imparzialita'  e del buon andamento di cui
 all'art. 97 della Costituzione, (Corte  costituzionale  n.  68/1971),
 sia  perche'  l'esercizio  di  tale controllo (art. 46, ottavo comma,
 della legge n. 142) e' subordinato al mancato decorso del termine  di
 quaranta giorni e quindi rischia di divenire meramente eventuale;
      b)  diverse  disposizioni di legge riconducono gravi e rilevanti
 conseguenze alla assunzione di impegni  oltre  le  disponibilita'  di
 bilancio  ed hanno comminato effetti sanzionatori per i comuni che si
 trovano in stato di dissesto.
   La stessa legge n. 142/1990, art. 55, quinto comma, ha sancito  che
 "gli  impegni  di spesa non possono essere assunti senza intestazione
 della relativa copertura finanziaria da parte  del  responsabile  del
 servizio; senza tale attestazione l'atto e' nullo di diritto".
   Senza  fermarsi a considerare quali possano essere le problematiche
 interpretative connesse a tale disciplina, non puo' sfuggire  che  la
 nullita'  di  tale atto di impegno, dovrebbe o potrebbe comportare la
 responsabilita' degli amministratori per gli effetti derivanti  dalla
 violazione della norma, e solo eventualmente (nella ipotesi in cui la
 irregolarita'  avrebbe potuta essere rilevata) la responsabilita' del
 tesoriere, per avere dato luogo a pagamenti disposti  sulla  base  di
 atti  nulli  e  quindi  improduttivi  di  effetti,  con  la probabile
 conseguenza di dover stralciare dal discarico i  relativi  pagamenti,
 operazione che dovrebbe essere fatta in sede di giudizio di conto;
      c)  ancora,  l'art. 23, primo comma, della legge 24 aprile 1989,
 n. 144, ha  fatto  divieto  alle  amministrazioni  -  che  presentino
 nell'ultimo  conto consuntivo deliberato disavanzo di amministrazione
 o debiti fuori bilancio - di assumere  impegni  e  pagare  spese  per
 servizi  non espressamente previsti per legge; comminando la nullita'
 delle relative deliberazioni.
   Nel caso cio' non di meno avvenga, ai sensi del  successivo  quarto
 comma,  "il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore
 e  l'amministratore  o  il  funzionario  che  abbiano  consentita  la
 fornitura".
   L'applicazione  della  norma  a  fortiori  comporta  verfiche sulla
 esposizione nel conto di debiti fuori bilancio  o  sulla  veridicita'
 del  risultato  di  amministrazione esposto nel consuntivo, verifiche
 che non possono essere fatte se non in sede di giudizio di conto.
   Non  si  puo', infatti, dubitare che, se si accertasse che l'avanzo
 esposto  in  bilancio  in  uno   degli   esercizi   considerati   non
 corrispondesse   alla   realta'   (e  cio'  al  fine  di  evitare  la
 applicazione  della  rigorosa  disciplina  indicata)  per  avere   le
 amministrazioni  esposto residui attivi inconsistenti o sopravalutate
 le entrate o non  iscritti  in  bilancio  i  debiti  (come  puo'  far
 supporre  il  dato  del continuo riemergere di passivita' pregresse),
 dovrebbero ritenersi affette da nullita' le delibere  di  impegno  di
 spese per servizi non espresssamente previsti dalla legge.
   In   questo   caso,   e'  evidente  che  la  responsabilita'  della
 conseguente declaratoria  di  nullita'  dei  pagamenti  eseguiti  non
 potrebbe  ricadere  sull'ignaro  tesoriere,  ma  essere imputata agli
 amministratori.
   Ora, in disparte ogni problematica derivante dalla applicazione  di
 siffatta  innovativa  disciplina,  sembra  rispondente  a  creteri di
 razionalita' che le diverse responsabilita' - anche  per  ragioni  di
 economia   processuale,   per   evitare   contrasti  di  giudicati  o
 duplicazioni di istruttoria  -  siano  accertate  in  un  simultaneus
 processus,  fermo  restando  l'obbligo  -  a  garanzia del diritto di
 difesa - della contestazione degli  specifici  addebiti  ai  soggetti
 ritenuti  responsabili,  nelle  forme  previste  dal  regolamento  di
 procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti.
   Se cosi' non  fosse,  le  predette  e  le  altre  disposizioni  che
 introducono  siffatti  limiti di gestione, nel proposito di pervenire
 al contenimento della spesa pubblica, sia in relazione ai principi di
 coordinamento previsti,  dall'art.  119  della  Costituzione  sia  in
 armonia   con  la  linea  di  tendenza  di  limitare  l'indebitamento
 complessivo, anche in ossequio allo ratio di cui all'art. 81,  quarto
 comma,  della Costituzione, si ridurrebbero a puri manifesti di buone
 intenzioni.
   Tanto piu' che e' di frequente rilevazione il  tentativo  di  molte
 amministrazioni  di  sottrarsi  alle  gravi  conseguenze previste dal
 legislatore - quali  l'obbligo  del  riconoscimento  di  tali  debiti
 limitatamente  alle  spese  derivanti  da  espletamento  di pubbliche
 funzioni  e  servizi,  con  conseguente  indicazione  dei  mezzi   di
 copertura  (art.  24, secondo comma, del d.-l. n. 66/1989, convertito
 con legge n. 144 del 24 aprile  1989);  le  limitazioni  in  tema  di
 assunzione  di  personale  e  di  mutui per investimenti, a far tempo
 dalla deliberazione di rateizzazione (art. 24, nono comma,  d.-l.  n.
 66)  -  ricorrendo  all'occultamento  del  disavanzo o iscrivendo nel
 consuntivo le spese una volta indicate  come  facoltative  e  tenendo
 fuori bilancio quelle strettamente riferite a servizi essenziali (ad.
 es.  le  spese  per  fonitura di elettricita'), per le quali la legge
 consente il finanziamento tardivo.
   Ora sembra a questa Corte che il  giudizio  sul  consuntivo  -  che
 tende ad accertare la veridicita' dei dati della gestione finanziaria
 dell'ente  e  la  non elusione di siffatte prescrizioni - costituisca
 uno  strumento  necessario  al  conseguimento  di  quegli   obiettivi
 (integrita',  universalita'  del  bilancio,  contenimento della spesa
 pubblica) perseguiti o dichiarati dal  legislatore,  per  cui  appare
 contrastante  con  il  principio di razionalita' introdurre un limite
 cosi ' grave ed incomprensibile  all'oggetto  del  giudizio  de  quo,
 quale fin qui storicamente si era venuto a delineare.
   La  irrazionalita' del richiamato assetto legislativo risulta anche
 evidente dal confronto con la norma di cui  all'art.  25,  dodicesimo
 comma,  del  d.-l.  2  marzo 1989, n. 66, nel testo che risulta dalla
 legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144, in base  alla  quale  il
 ricostituirsi,  dopo  l'intervento  di  provvedimento di riequilibrio
 previsti dalla legge stessa, di disavanzi  di  amministrazione  o  di
 debiti  fuori bilancio "comporta il rinvio a giudizio della Corte dei
 conti dei fatti di gestione che hanno determinato i nuovi squilibri e
 l'accertamento delle relative responsabilita' con tutti  gli  effetti
 conseguenti".
   Tale  effetto  dovrebbe, appunto, conseguire all'accertamento delle
 condizioni previste dalla legge, effettuato in sede  di  giudizio  di
 conto;
     2)  la sottrazione del conto consuntivo al giudizio necessario di
 conto appare in contrasto anche con l'art. 103, secondo la lettura  a
 questo  data  dalla Corte costituzionale (nelle sentenze nn. 68/1971;
 63/1973; 114ÿ/ÿ1974; 129/1981; 185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla
 Corte di cassazione (per tutte cfr. ss.uu.  sentenze  nn.  2616/1968;
 3375/3384  del 19 luglio 1989); entrambi, infatti, hanno affermato da
 un parte che la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le
 materie di contabilita' pubblica, sotto l'aspetto  oggettivo,  ne  ha
 accolto la nozione tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio
 di  responsabilita'  e del giudizio di conto, e dall'altra che questo
 costituisce insopprimibile  momento  di  garanzia  della  correttezza
 della  gestione  degli  amministratori degli enti locali a tutela dei
 contribuenti.
   In particolare, nella sentenza n. 114  citata  si  afferma  che  e'
 principio    generale    del   nostro   ordinamento   il   necessario
 assogettamento del pubblico denaro (proveniente dalla generalita' dei
 contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni)  al
 giudizio necessario di conto; infatti "a nessun ente gestore di mezzi
 di  provenienza  pubblica  e  a  nessun  agente  contabile  che abbia
 comunque maneggio di denaro  e  valori  di  proprieta'  dell'ente  e'
 consentito  sottrarsi  alla garanzia costituzionale della correttezza
 della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto
 giudiziale".
   Tali principi sono stati confermati con la  sentenza  n.  1007/1988
 citata  della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art.
 122, primo comma, del d.-l. del presidente  della  regione  siciliana
 del  29  ottobre  1955,  n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo 1963, n.
 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva al
 consiglio comunale il potere di deliberare in  conto  consuntivo  con
 effetti  sostitutivi  della  decisione della Corte dei conti: da tale
 sentenza si evince  in  maniera  chiara  che  cio'  che  deve  essere
 sottoposto  a  giudizio  e'  non  solo il conto di cassa, ma il conto
 consuntivo, e cio' corrisponde ad un  "principio  fondamentale  dello
 Stato di diritto", recepito dall'art. 103.
   Con gli indicati interventi normativi (che peraltro non appaiono il
 risultato  di  un complessivo ed approfondito esame sulle conseguenze
 della limitazione del giudizio de quo), in sostanza, come in  udienza
 ha denunciato il pubblico ministero, rimuovendo il potere - conferito
 a questo giudice prima della entrata in vigore della 142 - di diretta
 rilevazione  dei fatti di gestione dal consuntivo, si sta trasferendo
 alla sede amministrativa ed a quella politica un potere di verifica e
 di iniziativa che viene a condizionare l'attivita' giurisdizionale de
 quo, di fatto disattivando una funzione accertativa giudiziale che e'
 stata  ritenuta  una  garanzia effettiva dell'interesse dei cittadini
 alla correttezza delle gestioni degli enti locali.
   Riprova di cio' la si puo'  rinvenire  nella  disposizione  di  cui
 all'art.  25,  tredicesimo comma, della citata legge n. 144/1989, che
 demanda al Ministero  dell'interno,  in  sede  di  esame  degli  atti
 relativi  ai  debiti  fuori bilancio, il potere di contestare i fatti
 agli amministratori o funzionari ritenuti responsabili; detta  norma,
 poi,  conferisce  allo  stesso  dicastero, "qualora rilevi dall'esame
 degli atti dolo o colpa grave... ed ove  non  trovi  giustificate  le
 deduzioni  dagli  stessi  presentate il potere di rimettere agli atti
 alla procura della Corte dei conti"; in tal modo, una volta  travolto
 il  principio  del  diretto  esame  consuntivo  da  parte del giudice
 contabile, il Ministero stesso verrebbe a  costituire  l'unica  fonte
 conoscitiva   di   siffatti   atti   di   gestione   fuori  bilancio,
 subordinatamente,  per  di  piu',  alla  valutazione  positiva  della
 sussistenza    dell'elemento    soggettivo   della   responsabilita',
 valutazione che non puo' che essere riservata al giudice.
   Ora, in disparte il problema della costituzionalita' di tale  norma
 derivante anche dal fatto che tali valutazioni sono rimesse ad organi
 burocratici  sprovvisti  dei requisiti di neutralita' necessari (cfr.
 sent. Corte costituzionale n. 55/1966), e'  di  tutta  evidenzia  che
 (cfr.   sent.   Corte   costituzionale   n.   114/1975)  le  riferite
 disposizioni hanno introdotto un sistema  che  viene  a  condizionare
 l'effettiva  operativita' dell'organo giurisdizionale contabile nella
 materia.
   Peraltro, chi ha proposto tale norma  non  ha  considerato  che  la
 sussistenza  dell'elemento  soggettivo  che  fonda la responsabilita'
 contabile e la stessa configurabilita' del danno erariale non possono
 essere accertate in riferimento solo alla natura  della  spesa  fuori
 bilancio  (equivoco  in  cui  qualche  volta  cade  lo stesso giudice
 contabile) dato che gli amministratori sono molto attenti in genere a
 porre fuori bilancio - sottovalutando nelle previsioni  le  effettive
 necessita'  -  proprio  le  spese  riferite  ai  servizi necessari al
 funzionamento  dell'ente  o  strettamente  istituzionali;  e  proprio
 grazie  a tale sottovalutazione possono trovare copertura in bilancio
 le spese riconducibili a servizi non necessari.
   Pertanto, e' solo ponendo a raffronto - come avveniva  prima  della
 legge n. 142 - tali partire con le altre contenute nel conto relativo
 all'esercizio di riferimento che possono evidenziarsi i comportamenti
 degli  amministratori  che,  cosi'  operando,  si sono sottratti alla
 regola del pareggio  di  bilancio;  in  disparte  il  problema  della
 necessita'  per  il giudice contabile di riconsiderare, alla luce del
 grave disavanzo dello Stato e delle rigorose  norme  di  contabilita'
 introdotte  negli  ultimi  anni, la stessa nozione di danno erariale,
 provocato dalla elusione dell'obbligo di copertura delle spese.
   E', dunque, ravvisabile una evidente violazione dell'art. 103 della
 Costituzione,  nella  interpretazione   data   dalla   stessa   Corte
 costituzionale,  con  le  sentenze  nn. 114/1975 e 1007/1988, in base
 alla quale e' il conto consuntivo,  nella  sua  interezza,  che  deve
 essere  sottoposto al giudizio della Corte e non puo' la Corte stessa
 venire a conoscenza della esistenza di poste contabili (quali  debiti
 fuori  bilancio,  la  esistenza di disavanzi di amministrazione, etc)
 attraverso  la  indeterminazione  dell'autorita'  politica; esso deve
 poterlo fare tramite il  diretto  riscontro  del  predetto  documento
 contabile e della documentazione ad esso allegata.
   In  definitiva,  sembra  a  questo  giudice  che l'assetto dato dal
 legislatore  alla  materia  non  sembra   razionale   e   soprattutto
 funzionale  al  perseguimento  dell'obiettivo primario di predisporre
 incisive attivita' di verifiche della gestione contabile  a  garanzia
 effettiva   dell'interesse   dei  cittadini  alla  correttezza  della
 gestione e a garanzia dell'esercizio responsabile del munus  pubblico
 di amministratore.
   Viene con la richiamata disciplina abrogativa assegnato alla Corte,
 nella  sua  espressione  giurisdizionale, un ruolo meramente notarile
 sulla regolarita' formale di atti che sono terminali di una gestione,
 un  ruolo,  cioe',  non  sostanziale  nella  verifica  del   processo
 gestionale delle risorse finanziarie pubbliche;
     3)  ancora  detta  limitazione  dell'oggetto  del giudizio de quo
 sembra contrastare anche con i principi di imparzialita'  e  di  buon
 andamento  della  amministrazione  previsti  all'art.  97, perche' la
 sottrazione al giudizio necessario di conto pregiudica l'accertamento
 della effettiva situazione di bilancio e  non  ostacola,  consentendo
 pratiche  lassiste  e  rendendo  problematico  il perseguimento delle
 relative  responsabilita',  l'ampliarsi  progressivo  del   disavanzo
 finanziario  fino  al  (e  non prevedendolo) dissesto; in tal modo si
 viene a favorire  il  ricrearsi  di  quelle  situazioni  di  dissesto
 finanziario  generalizzato  degli  enti locali, che oggi risultano di
 nuovo indebitati per cifre imprecisate, nonostante  il  tentativo  di
 risanamento   della   finanza  locale  perpetrata  con  la  normativa
 "Stammati".
   Il decreto legislativo  n.  77/1995  costituisce  la  conferma  che
 l'operazione  di  risanamento  della  finanza  locale  non  e' finora
 avvenuta; con tale provvedimento si procede ad un nuovo  ripianamento
 delle  gestioni  dissestate  degli  enti  locali, con l'accensione di
 mutui, secondo la disciplina prevista all'art. 96, disciplina che non
 risulta rispondente al principio costituzionale  di  copertura  delle
 leggi  di  spesa  indicato  all'art.  81  della Costituzione, secondo
 quanto affermato dalle ss.rr.  della Corte dei conti con il parere n.
 303 s.r.d. reso sul provvedimento stesso in data 19 dicembre 1994.
   Ora, in disparte ogni considerazione sulla sufficienza o meno -  in
 relazione  agli  accresciuti  gravosi  compiti - dei mezzi finanziari
 trasferiti o attribuiti agli enti locali, valutazione che non compete
 a questo giudice, deve ritenersi che la gestione  della  spesa  senza
 che  si  tenga  in  alcun  conto  dei  limiti di bilancio, il mancato
 rispetto  del  principio  della  integrita'  del  bilancio  (con   la
 conseguenza   di   scaricare   gli   oneri   -   attraverso   la  non
 contabilizzazione di essi tra gli impegni -  sui  futuri  esercizi  e
 quindi  sulle  future  generazioni)  si  pongano  in contrasto con il
 rispetto del  principio  di  buon  andamento;  la  sottrazione  della
 verifica di tali limiti al giudizio di conto non puo' che determinare
 situazioni  di  maggiori  cedimenti  sul  piano  della  spendita  non
 ponderata delle risorse, ed in definitiva  vulnera  profondamente  la
 stessa   autonomia   degli   enti,   in  quanto  impedisce  ai  nuovi
 amministratori di realizzare i  fini  istituzionali  ed  i  programmi
 sulla  base  dei quali sono stati eletti, a causa della situazione di
 bilancio ereditata; aggrava, infine, l'onere a  carico  dello  Stato,
 che   e'  costretto  a  intervenire,  facendo  ricorso  ad  ulteriore
 indebitamento, vanificando nel concreto  peraltro  quella  azione  di
 coordinamento  della  finanza  regionale e locale demandata dall'art.
 119 della Costituzione al legislatore nazionale e quella esigenza  di
 contenimento del disavanzo espressa dall'art. 81, quarto comma, della
 Costituzione.
   Con   conseguenze   che  ricadono  necessariamente  al  livello  di
 indebitamento complessivo dello  Stato,  dato  che  la  esistenza  di
 risultati  di  amministrazione  apparentemente  positivi  negli  enti
 appartenenti  alla  finanza  pubblica  costituiscono  oneri  latenti,
 destinati  a  incidere  sul  livello  di indebitamento previsto dalle
 leggi finanziarie.
   La rimozione di verifiche quali quelle considerate  fa  venir  meno
 uno  strumento di garanzia essenziale, anche in relazione alla azione
 preventiva che esplica, della fedele rappresentazione delle gestioni,
 senza considerare che la stessa  attivita'  referente  al  Parlamento
 conferita  dall'art.  13 della legge n. 51/1982 alla apposita sezione
 della Corte dei conti potrebbe risultare vulnerata ogni qual volta si
 fondasse su rappresentazioni contabili non corrispondenti alla  reale
 situazione finanziaria.
   Le  stesse  censure  vanno  mosse  al  citato  art.  67 del decreto
 legislativo n. 77/1995, che deve intendersi meramente esecutivo della
 norma di cui all'art. 58, secondo comma, della legge  n.  142,  nella
 parte  in  cui  pone  a  carico  del  rappresentante legale dell'ente
 l'obbligo di trasmissione alla sezione giurisdizionale del solo conto
 del tesoriere e non anche del rendiconto della gestione previsto  dal
 successivo art. 69.
   Le   suddette  considerazioni  fanno  ritenere  non  manifestamente
 infondata e rilevante la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 proposta.